Viaggio alle radici d’Europa
Dopo Appia e Cavalli che dormono in
piedi, un nuovo grande viaggio.
Da Norcia e ritorno, attraverso l’Europa
dei monasteri, alla riscoperta dei
nostri
valori fondanti.
“Oggi la vera terra di missione non è l’Africa ma questa Europa che perde la bussola. Riduce la fede a estetica, gioca con miasmi di morte, e dove i paesi che hanno votato l’Unione sembrano i primi a volerla distruggere.”
Che
uomini erano quelli. Riuscirono a salvare l’Europa con la sola forza della
fede. Con l’efficacia di una formula semplicissima, “ora et labora”. Lo fecero
nel momento peggiore, negli anni di violenza e anarchia che seguirono la caduta
dell’Impero romano, quando le invasioni erano una cosa seria, non una
migrazione di diseredati. Ondate violente, spietate, pagane. Unni, Vandali,
Visigoti, Longobardi, Slavi e ferocissimi Ungari. Li cristianizzarono e li
resero europei con la sola forza dell’esempio. Salvarono una cultura
millenaria, rimisero in ordine un territorio devastato e in preda
all’abbandono. Costruirono, con i monasteri, dei formidabili presidi di
resistenza alla dissoluzione. Sono i discepoli di Benedetto da Norcia, il Santo
protettore d’Europa. Paolo Rumiz li ha cercati nelle loro abbazie,
dall’Atlantico fino alle sponde del Danubio. Gli uomini che le abitano vivono
una “regola” più che mai valida oggi, in un momento in cui seminatori di
zizzania cercano di fare a pezzi l’utopia dei loro padri: quelle nere tonache
monacali ci dicono che l’Europa è, prima di tutto, uno spazio millenario di
migrazioni. Una terra “lavorata”, dove – a differenza dell’Asia o dell’Africa –
è quasi impossibile distinguere tra l’opera della natura o quella dell’uomo. Un
paradiso che è insensato blindare con reticolati. Da dove se non
dall’Appennino, un mondo duro, abituato da millenni a risorgere da ogni
terremoto, poteva venire questa formidabile spinta alla ricostruzione dell’Europa?
Quanto è conscia l’Italia di questa sua centralità se, per la prima volta dopo
secoli, lascia in macerie le terre pastorali da dove venne il segno della
rinascita di un intero continente? Quanto c’è ancora di autenticamente
cristiano in un continente travolto dal materialismo? Sapremo risollevarci
senza il bisogno di altre guerre e catastrofi? A questi interrogativi Paolo
Rumiz cerca una risposta nei fortini dove resistono i valori perduti, in un
viaggio che è prima di tutto una navigazione interiore.
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