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Fregio Robbiano "Alloggiare i Pellegrini" - Ospedale del Ceppo di Pistoia

19 aprile 2020



Il filo infinito
Viaggio alle radici d’Europa

Dopo Appia e Cavalli che dormono in
piedi, un nuovo grande viaggio. 
Da Norcia e ritorno, attraverso l’Europa
dei monasteri, alla riscoperta dei nostri
valori fondanti.






“Oggi la vera terra di missione non è l’Africa ma questa Europa che perde la bussola. Riduce la fede a estetica, gioca con miasmi di morte, e dove i paesi che hanno votato l’Unione sembrano i primi a volerla distruggere.” 

Che uomini erano quelli. Riuscirono a salvare l’Europa con la sola forza della fede. Con l’efficacia di una formula semplicissima, “ora et labora”. Lo fecero nel momento peggiore, negli anni di violenza e anarchia che seguirono la caduta dell’Impero romano, quando le invasioni erano una cosa seria, non una migrazione di diseredati. Ondate violente, spietate, pagane. Unni, Vandali, Visigoti, Longobardi, Slavi e ferocissimi Ungari. Li cristianizzarono e li resero europei con la sola forza dell’esempio. Salvarono una cultura millenaria, rimisero in ordine un territorio devastato e in preda all’abbandono. Costruirono, con i monasteri, dei formidabili presidi di resistenza alla dissoluzione. Sono i discepoli di Benedetto da Norcia, il Santo protettore d’Europa. Paolo Rumiz li ha cercati nelle loro abbazie, dall’Atlantico fino alle sponde del Danubio. Gli uomini che le abitano vivono una “regola” più che mai valida oggi, in un momento in cui seminatori di zizzania cercano di fare a pezzi l’utopia dei loro padri: quelle nere tonache monacali ci dicono che l’Europa è, prima di tutto, uno spazio millenario di migrazioni. Una terra “lavorata”, dove – a differenza dell’Asia o dell’Africa – è quasi impossibile distinguere tra l’opera della natura o quella dell’uomo. Un paradiso che è insensato blindare con reticolati. Da dove se non dall’Appennino, un mondo duro, abituato da millenni a risorgere da ogni terremoto, poteva venire questa formidabile spinta alla ricostruzione dell’Europa? Quanto è conscia l’Italia di questa sua centralità se, per la prima volta dopo secoli, lascia in macerie le terre pastorali da dove venne il segno della rinascita di un intero continente? Quanto c’è ancora di autenticamente cristiano in un continente travolto dal materialismo? Sapremo risollevarci senza il bisogno di altre guerre e catastrofi? A questi interrogativi Paolo Rumiz cerca una risposta nei fortini dove resistono i valori perduti, in un viaggio che è prima di tutto una navigazione interiore.                                            

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